TEMPI MODERNI COSA È SUCCESSO AL PUNTO DI RITROVO DEGLI AMERICANI A ROMA, CHIUSO DOPO 40 ANNI
I clienti: Ezra Pound, Chet Baker, Warwick, Stallone e migliaia di appassionati di letteratura d’oltreoceano. Finché non sono arrivati internet, il caroeuro, la paura di attentati a far abbassare la saracinesca. Ma la famiglia Goldfield. proprietaria, non molla e si reinventa.
di FABRIZIO PALADINI
Q uando chiude una libreria l’anima è in lutto. Se poi la libreria, come spesso capita, oltre a essere un negozio di cultura, è anche un luogo di incontro di idee e parole, un punto di riferimento per una comunità, un porto per rifugiarsi dallo tsunami di immagini televisive, il dolore è ancora più acuto.
A Roma è successa una cosa strana:
E quindi questa è la storia (triste ma fino a un certo punto) di una famiglia speciale che ha gestito questo pezzetto dì paradiso di parole e che oggi ammette di avere perduto la battaglia contro la modernità. E la modernità ha tre sottonomi: il terrorismo e la follia dell’11 settembre, il rapporto euro-dollaro, lo strapotere di internet.
Max Goldfield era uno con non tutte le rotelle a posto. Figlio di immigrati polacchi, nasce a New York e sposa Edna. Un giorno la sua azienda lo manda in Arizona a vendere prodotti da porta a porta. Max ci sa fare ma capisce anche che quel mestiere fatto pure di furbizie, di piccoli raggiri, di imboniture a buon mercato non fa per lui. Max sogna, e soprattutto ha il pepe addosso. Nei primi anni 60 prende Edna, il piccolo Paul e la piccolissima Barbara e se li porta nella terra promessa, Israele. La vita del kibbutz sembra il massimo per un socialismo dal volto a stelle e strisce.
«Ma quella vita era un inferno» racconta Barbara. «Noi bambini dormivamo separati dai genitori. Io vedevo mamma e papà solo a pranzo e cena. Sembrava peggio di una caserma e i grandi lavoravano come schiavi. Il giorno a spalare sabbia e la sera a innaffiare il deserto».
I Goldfield si riuniscono e tre contro uno decidono che la vita del kibbutz non va bene. Tornano in America, a San Francisco, perché Max rimedia un incarico a Berkeley. Edna lavora in una libreria. Max, però, dopo un po si scoccia perfino della San Francisco dove già prospera la beat generation delle migliori menti. Si torna tutti in Europa, si affitta una macchina e via verso la Turchia, l’Iran, l’Afghanistan. Una specie di viaggio di fricchettoni ante litteram. Tappa finale Roma. Qui i Goldfield decidono che ci si può fermare ed Edna rispolvera la libreria,
Edna: «Era il 1966 e Max trovò i locali in piazza di Spagna, proprio accanto all’American Express. Il primo incontro con la burocrazia romana fu devastante: aspettammo 11 mesi per avere la licenza. Ogni volta ci dicevano: la prossima settimana…».
La libreria funzionava?
Edna: «Oh, sì. A Roma in quegli anni c’erano tanti americani e tantissimi turisti. Un giorno entrano un vecchietto insieme con un nostro amico irlandese, un poeta famoso che si chiama Desmond O’Grady. “Edna, posso presentarti Mr Ezra Pound?”. Io me lo guardai contenta. Poi veniva sempre Lee Strasberg con tutta la famiglia. Più recentemente Susan Sontag».
Paul: «Ehi mamma, guarda che venivano anche artisti più moderni:
Sylvester Stallone cercava sempre dvd, li prendeva in affitto e poi li restituiva. Ehi ma, ti ricordi quando venne O.J. Simpson? ».
Edna: «Io non lo avevo riconosciuto, ma tutti i turisti americani lo videro e mi dissero: Accidenti, O.J. Simpson nel suo negozio, possiamo chiedergli lautografo?’
Paul già sognava di diventare musicista jazz mentre Barbara faceva la ballerina. E fu proprio al Sistina, dove ballava in Applause con Rossella Falk, che conobbe Federico di cui si innamorò. La libreria di piazza di Spagna va bene, i Goldfield trovano casa in affitto in via dei Coronari, ma un brutto giorno del ‘69 il cuore del vecchio leone e sognatore Max si ferma del tutto. Edna prende in mano la situazione e coinvolge gradualmente i figli. Nel frattempo la libreria è un punto di riferimento per la comunità americana nella capitale e anche per quella di passaggio, oltre che per i romani che cercano testi in inglese.
Barbara: «Si vendeva tutto e bene, Il titolo al top? Il Collin’s, il piccolo dizionario di inglese. Poi, nei Settanta, Graham Greene, Bertrand Russell, Levi Strauss, Ovidio, Machiavelli».
E ultimamente cosa si vendeva?
«Le cose orribili tutte uguali, tipo Grisham, Clancy, Dan Brown».
Se qualcuno voleva un consiglio?
«Beh, io gli chiedevo che gusti aveva e quello mi rispondeva: mi piace Harmony e allora io gli suggerivo Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. “Lo prenda, è una bella storia d’amore”, e lo convincevo. Poi spingevo Robertson Davies, un canadese straordinario, o Pat Baker con il suo Rigenerazione, sulla Prima guerra mondiale. Funzionavano sempre i classici come Ernest Hemingway e Truman Capote ».
E la poesia?
Paul: «La poesia aveva un andamento certo: mai tanti libri ma una vendita costante, rassicurante direi. I Sonetti di Shakespeare in testa seguiti da John Donne, Byron, Shelley e anche Dante, ovvio».
Com’è finita questa storia?
Barbara: «Ho capito che avremmo chiuso il 12 settembre 2001. Ci eravamo già trasferiti in via Torino, dietro il teatro dell’Opera, da 17 anni e già le cose andavano così così. Ma l’11 settembre, dopo il botto, è partita l’onda e ci ha sommerso».
Ha mai pensato che il vostro negozio potesse essere un obiettivo?
«Sì, ci sono stati momenti brutti. Avevo anche fatto un’assicurazione per paura delle bombe».
Ma Roma le ha mai manifestato ostilità per il solo fatto di essere Americani?
«No, mai. Organizzavamo molti incontri in libreria e venivano un sacco di italiani per il gusto di parlare inglese e su temi di attualità. Ma noi eravamo contrari alla guerra in Iraq».
Un covo di democratici?
«Beh, sì. Siamo sempre stati democratici, ma americani prima di tutto’».
Allora l’11 settembre cosa è stato?
Edna: «È stato la fine di un flusso turistico certo ed è stato il ridimensionamento della comunità americana a Roma»’.
Poi anche l’euro e Internet…
Barbara: «Un euro contro un dollaro sarebbe stato già pesante ma un euro contro 1,3 dollari era impossibile. I funzionari americani a Roma, pagati in dollari, abituati a fare i ricchi, si sono improvvisamente scoperti poveri. Venivano da noi e acquistavano 20, 30 libri alla volta. Negli ultimi mesi ne compravano tre, quattro. I soldi non bastavano più».
E Internet?
Paul: «Internet è il mondo che dobbiamo accettare. Noi avevamo in catalogo qualche migliaio di libri, chi apre internet ne trova centinaia di migliaia, spinge un bottone, mette il numero della sua carta di credito e gli arriva a casa quello che vuole. Non è un bene, non è un male. È così e basta».
I grandi supermarket del libro vi hanno danneggiato?
Barbara: «Ma certo. Posti come Feltrinelli ci hanno ammazzato, lì ci sono libri in inglese, giornali in inglese, film in inglese. Come si fa a reggere la concorrenza? Pensi che dopo che avevamo chiuso la Feltrinelli mi ha chiamato e mi ha chiesto se volevo andare a lavorare per loro».
E lei ci andrà?
«Nemmeno morta. Io aprirò con mio marito una attività di turismo enogastronomico in Campania e così passeremo dal pane e cultura al pane e salame. Ma è cultura anche quella».
Qual era la situazione economica del vostro negozio?
Barbara: «I primi 30 anni le cose andavano bene. Non ci siamo mai arricchiti ma si stava bene, una bella casa in affitto in via dei Coronari, un appartamento comprato dietro viale Marconi. Poi sono cominciati i guai e gli ultimi anni, dopo l’11 settembre, il declino è stato inarrestabile. Perdevamo 5 mila euro al mese. Si è innescato un meccanismo di morte: meno soldi, meno investimenti, meno libri comprati da mettere sugli scaffali, meno libri venduti al pubblico, più debiti, meno personale e così via, fino al bel funerale che stiamo raccontando».
Quali mode editoriali avete visto passare nel vostro negozio?
Edna: «Negli anni 70 a Roma c’erano un sacco di preti americani e si vendeva tantissima filosofia, teologia, storia. Poi c’è stato il momento dell’How To».
Sarebbe?
«How To», vuoi dire come si impara a fare una cosa, come passare un esame da manager, come gestire una azienda di 20 dipendenti… Poi c’è stato il boom dell’informatica».
Perché vi siete fermati a Roma?
Barbara: «Perche Roma è in mezzo all’Europa. Qui hai la sensazione di stare dentro il mondo e non alla sua periferia».
Paul: «Papà percepiva a Roma questa piacevole pesantezza della storia che in America non c’è. Lì tutto è leggero, un po’ superficiale forse. Lì le cose si sfasciano e si ricostruiscono con facilità. Qui il passato vive e quindi è il presente: questo ci è piaciuto».
I Goldfield, bella famiglia. Max è in pace a Prima Porta. Certo, per lui si potrebbe trovare un posto nel cimitero degli artisti a Testaccio, ci starebbe proprio bene anche per avvicinarlo ai suoi. Paul ha ripreso a comporre musica jazz, colonne sonore. Barbara sogna il turismo colto del caciocavallo e della Falanghina, Edna è sicura e alla domanda: se dovesse aprire una nuova attività commerciale a Roma cosa sceglierebbe? lei risponde con la sua voce acuta:
«A bookshop». Beata gioventù.